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Le radici dello yoga: yogini, sacerdotesse tantriche e amazzoni

Il cerchio della vita e le radici delle yogini: le donne inventarono l’antica arte dello Yoga?

Di Vicki Noble

 

vicky01Guaritrice, insegnante di yoga, artista e autrice di numerosi libri, tra cui Shakti Woman (tr. It. Il risveglio della dea, Corbaccio; si veda anche La dea doppia, Venexia ed, 2007).

Vicki Noble ha insegnato nei programmi di Spiritualità delle donne al California Institute of Integral Studies e al New College a San Francisco. È madre e nonna.

 

 

 

 

Se l’avvenimento del risveglio spontaneo della kundalini può accadere (e certamente è accaduto) a chiunque, dovunque - uomo o donna, giovane o vecchio - nella mia vita questo risveglio si è espresso in modo esplicito attraverso le “siddhi” (poteri yogici) femminili del ciclo mestruale, della sessualità femminile, del parto naturale e della menopausa.

È su questo approccio di genere che desidero focalizzarmi qui, poiché questo ha sollecitato la mia immaginazione fin dal momento in cui posai gli occhi sulle onnipresenti statuine femminili del Neolitico provenienti da tutta l’area del Mediterraneo e dalla cosiddetta “Old Europe” (“Vecchia Europa”). Le mie ricerche portano a pensare che le donne hanno inventato lo yoga attorno al 7° millennio a.C. e che le diverse posizioni mostrate in queste antiche sculture, così come negli affreschi, nei graffiti e nell’arte rupestre attraverso le varie epoche, sono espressione di una antica e diffusa pratica comunitaria dello Yoga centrata sul femminile, che fu successivamente codificata nelle scuole “formali” che oggi conosciamo.

È la qualità dinamica dell’estasi che in modo speciale sembra segnare l’esperienza dello Yoga centrato sul femminile. In ogni chiesa pentecostale, alla domenica mattina, c’è una buona probabilità di trovare una donna che canalizza l’energia benedetta del “potere del serpente” attraverso il suo estatico arrendersi ad una versione cristiana del risveglio dell’energia kundalini. In Brasile e nei Caraibi, le donne funzionano come medium in trance nella religione Yoruba importata dall’Africa con la tratta degli schiavi. I Bushpeople africani parlano del “Num” che ribolle dentro di loro durante le loro cerimonie di guarigione, portando profezia e potere di guarigione ai fortunati beneficiari, e sono in particolare le donne mestruate ad essere incoraggiate a imporre le loro mani sugli ammalati (Katz). In Science and Civilization, Joseph Needham scrisse piuttosto ampiamente sulle sciamane (yogini) preistoriche che danzavano estatiche per invocare la pioggia. (Needham, vol. II).

Questa stretta relazione delle donne con lo Yoga risulterebbe molto più palese se le nostre caratteristiche specificamente femminili e gli stessi rituali sciamanici non fossero stati denigrati e respinti sullo sfondo nel corso dei secoli, mentre le tipologie di pratiche più ascetiche (“quietistiche”) guadagnavano terreno. Carmen Blacker, in The Catalpa Bow, descrive come in Giappone, ad esempio, l’arrivo del Buddismo portò ad una divisione nel genere maschile e femminile della funzione sciamanica (prima solo femminile), attribuendo per la prima volta l’appannaggio delle funzioni cerimoniali agli uomini, e lasciando alle donne la “leadership” medianica. I. M. Lewis, in un brillante lavoro sulla religione estatica delle donne nel mondo, mostra che la religione delle donne ha continuato a esistere in molti luoghi nel corso della storia, divenendo però periferica anziché centrale nel momento in cui venne rimpiazzata dalle più austere religioni dominate dagli uomini.

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Yoga lunare

Cominciai le mie ricerche sulle “radici dello Yoga e dello sciamanesimo nel sangue femminile”, quando arrivai a comprendere i ritmi lunari con cui le donne sono naturalmente connesse, e tenni un corso intitolato “Yoga lunare” rivolto a donne (e a uomini) fra gli anni Settanta e Ottanta. Scrissi poi diffusamente sulle pratiche, i principi e gli approcci di questo studio intuitivo. Lo Yoga lunare si focalizzava in modo particolare sull’energia piuttosto che sulla forma, e dava enfasi alle sensazioni corporee e agli altri modi in cui gli studenti potevano registrare le impressioni che emergevano come risultato delle loro posizioni yoga. Suggerivo che c’erano due “corpi”, quello fisico, denso, che appare solido, e un altro invisibile che funziona come un serpente che si muove e si compenetra con quello fisico. È su questo “corpo-serpente” che richiamavo l’attenzione dei miei studenti durante la pratica.

Mi resi conto nella mia stessa pratica che le donne moderne sono costantemente (e inavvertitamente) consigliate di andare contro la loro conoscenza interiore, e di conformarsi agli schemi esteriori della disciplina, che in tempi recenti è stata sviluppata da e per gli uomini, come se i nostri bisogni fossero esattamente gli stessi (“universali”). Ad esempio, da un lato incontrai un profondo silenzio per quanto riguarda il periodo mestruale, dall’altro lato trovavo ansiogeni avvertimenti di evitare lo Yoga durante questo importante appuntamento mensile. Eppure, non solo il mio corpo anelava alla pratica dello Yoga in modo più forte proprio durante questo periodo del mese più che in altri, ma sia le mie facoltà fisiche che quelle psichiche risultavano allora potenziate e più chiaramente disponibili. Che fare? Ancor oggi, passati ben ventiquattro anni, a parte il magnifico lavoro di Geeta Iyengar, Yoga: A Gem for Women (tr. it, Yoga per la donna), risulta esserci molto poco di scritto sullo Yoga per le donne durante il periodo mestruale. Eppure, nelle pratiche tantriche dell’India era proprio una “shakti mestruante” ad essere considerata la guru capace di iniziare il discepolo (maschio) ai sacri rituali sessuali che ella officiava durante il suo periodo “rosso” (Marglin).

Alla fine prevalse la forza della mia pratica personale dello Yoga, e facevo semplicemente tutto ciò che il mio corpo mi diceva di fare. Diventai una “perfetta” yogini che praticava per più di due ore ogni mattina, al risveglio. Inaspettatamente, scoprii che uno degli effetti secondari più importanti della mia intensa pratica quotidiana era che potevo collocarmi e risiedere temporaneamente all’interno del mio centro sacro, diventando (almeno per un po’) il soggetto o “l’agente centrale” della mia vita. Il compito doveva essere ripreso ancora e ancora, rinnovato ogni giorno, dato che il mio condizionamento adattivo mi aveva resa esageratamente responsiva ai bisogni e ai desideri degli altri, e il mio stile di vita come libera professionista-madre single di due figlie mi teneva così occupata da farmi dimenticare continuamente il mio focus. Questa fondamentale esperienza di “perdita di sé” è condivisa dalla popolazione femminile in generale, e il suo antidoto, che mi piace chiamare “autorità spirituale femminile”, è uno dei benefici principali, per una donna, della pratica quotidiana.

È proprio questo innato senso di possesso di un centro sacro che ho osservato in molte donne indigene nelle tribù, quando per la prima volta viaggiai al di fuori degli Stati Uniti, ed è lo stesso senso di sacra autorizzazione interiore che ho percepito nelle antiche statuine e immagini di donne ritratte come sciamane, sacerdotesse rituali, e yogini.

Così ho portato avanti un mio proprio progetto di ricerca praticando yoga a mio piacimento durante il periodo mestruale, facendo qualsiasi postura (asana) mi sentissi di fare, con risultati estremamente curativi e benefici. Nel 1984, quando restai in cinta di mio figlio Aaron Eagle, cercai disperatamente una solida guida o delle valide informazioni per una pratica yoga sicura in gravidanza. Gli ammonimenti, molto forti, a non praticare le posizioni capovolte e quelle difficili o impegnative mi portarono, anche se riluttante, a sospendere la mia regolare pratica della posizione sulla testa, che tenevo per 15 minuti, e di tutte le altre posizioni impegnative di cui godevo così tanto nella mia sadhana quotidiana, e che erano servite a curare il mio corpo dalle sue malattie un decennio prima.

Immaginate il mio disappunto quando - durante il mio ultimo mese di gravidanza - un amico mi mostrò un libro con le foto di Geeta Iyengar con il pancione che praticava la posizione capovolta sulla testa e altre asana avanzate durante l’ultimo mese di gravidanza! Anche se ho potuto avere un parto naturale in casa, sano e felice, circondata dalle persone che amavo, non saprò mai se il prolasso uterino alla fine della gravidanza si sarebbe potuto prevenire se avessi continuato la pratica quotidiana che mi aveva sostenuto prima della gravidanza. Vedere le foto di Geeta Iyengar in gravidanza a testa in giù è davvero entusiasmante, così come vedere l’ottantatreenne Vanda Scaravelli che pratica beata delle asana che molti di noi non riescono nemmeno a immaginare. Noi donne traiamo grandissimo beneficio da modelli femminili positivi di ruolo e da insegnanti che comprendono i nostri bisogni particolari, e che possono sostenere e confermare la nostra autorevolezza e conoscenza interiore. Il libro di Geeta Iyengar è un caso emblematico. Una donna indiana che scrive per le donne nell’India del Ventesimo secolo, ella si rivolge con franchezza ed empatia al faticoso e duro compito che grava sul ruolo del sesso femminile, enfatizzando il senso di stabilità che la pratica dello Yoga può portare a una donna “che deve pagare un alto prezzo in termini fisici e psicologici nel suo ruolo di madre, moglie, sorella e amica… La sua salvezza sta nel praticare (le asana).” Come donna indiana tradizionale, Iyengar concepisce la maternità come il “compito consacrato” di una donna e come “la religione più alta” che rende le donne di volta in volta “servitrici” e “sopraffatte dai pesi della loro vita”. Iyengar propone lo Yoga come “una via verso la libertà interiore dalla lotta senza fine dell’essere donna e madre, essendo vincolata al suo lavoro e al suo compito”, e che la allena a far fronte al mondo e ai suoi doveri con equanimità

Il potere del serpente: la forma femminile attiva dello yoga

Il risveglio del “potere del serpente” chiamato kundalini è riconosciuto come centrale ad una crescita nel cammino dello Yoga. La kundalini, rappresentando l’energia “psico-sessuale” del corpo umano, è ancor oggi percepita nella cultura indiana come una Dea e un serpente sacro. Dalla primeva immagine dei tre cobra striscianti lungo una lastra di pietra rinvenuta nel sito di Ma’alta, in Siberia, e risalente al 26.000 a.C. (dove furono ritrovate anche le statuine chiamate “Veneri”), alle selvagge Gorgoni con serpenti come chioma, diffuse in tutta l’area del Mediterraneo nel 5° secolo a.C., le potenzialità yogiche delle donne furono rappresentate dal Potere del Serpente. Sia che un certo sentiero dello yoga metta in guardia contro il risveglio della kundalini e i suoi rischi conseguenti (pazzia, sessualità incontrollabile, e black-out del sistema nervoso), o che invece ne incoraggi il risveglio intenzionale per raggiungere l’illuminazione sotto forma di “un’esperienza di estasi e consapevolezza senza traccia di dualità” (Feuerstein e Bodian, 8), per qualsiasi praticante di yoga il potere del serpente non può essere ignorato.

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Questa esplicita percezione del potere del serpente come femminile (Kundalini Shakti) ci rimanda indietro ad una antica religione estatica a diffusione planetaria e officiata dalle donne. L’indiana “Buddhi Nagin” è dipinta come un vetusto serpente femmina, e l’antica Dea creatrice cinese Nu Kua era metà serpente e metà donna, proprio come un’immagine dipinta nella stessa epoca dalle donne di Mithila, nel nord dell’India (Johnson, 172).

L’indiana Kali indossa ghirlande di teschi e serpenti, come la sua controparte messicana, la Dea Coatlique. Conosciuta come “la Signora dalla pelle di serpente”, Coatlique veniva raffigurata con una sottana di serpenti a sonagli e con il volto di un serpente con le zanne che, ad un secondo sguardo, risulta composto da due serpenti a sonagli posti uno di fronte all’altro che si guardano negli occhi, nella fronte di lei. “Il concetto di una forza che erompe dalla testa sembra essere originario delle antiche religioni della dea” (Johnson, 173). I vasi funerari Maya mostrano una donna (che si credeva fosse la dea Ix Chel) in diverse, esplicite posizioni yoga, come la “torsione”, in associazione con un serpente gigante (che sembra essere il suo alter ego) ed una figura maschile tantrica identificata come il vecchio Dio del Fuoco (Robicsek, 115).

Dalla Creta preistorica, una donna serpente risalente al 6000 a. C. è ritratta in una posizione yoga di meditazione; porta chiaramente una corona sulla testa. Un’altra statuina, incoronata e similmente seduta in meditazione, può essere ammirata in un piccolo museo della Turchia centrale, risalente approssimativamente allo stesso periodo. Gimbutas chiamò la Dea Serpente incoronata “Regina dei Serpenti” o “Madre dei Serpenti”, e suggerì dei collegamenti con i costumi popolari contemporanei della Lituania, dove i serpenti erano ancora oggetto di rispetto e venerazione quando lei era bambina (Gimbutas, 236). Molte rappresentazioni antiche di donne in posizione yoga sono ritratte in uno stato di trance o di coscienza estaticamente alterata. Anche le statuine provenienti dalle Isole greche, catalogate come “Dee della morte” e chiamate “nudi rigidi” da Gimbutas, possono altrettanto bene essere descritte come in uno stato di samadhi. E sebbene queste statuine precedano di molte migliaia di anni il periodo della codificazione formale dello Yoga in India, si potrebbe affermare che ciascuna di esse descriva graficamente gli otto gradini dello Yoga che conducono “a livelli progressivamente più profondi di consapevolezza e azione fino a che, alla fine, la coscienza ordinaria è trascesa nella grazia dell’estasi.” (Feuerstein e Bodian, 16)

Miranda Shaw, nel suo vasto trattato sulle radici femminili del tantra, descrive le “feste tantriche o adunate della comunità” delle yogini dell’India settentrionale, e cita “abbondanti prove che le donne stesse preparavano le loro feste indipendentemente dagli uomini” (Shaw, 81). Come le antiche menadi greche (“donne selvagge”), le yogini tantriche suonavano cimbali, campanelli e tamburelli e danzavano dentro un cerchio di luce e una nuvola di incenso, in un “raduno” notturno o “congregazione”, o un “cerchio” di yogini o un “consesso di dakini”, allo scopo di “festeggiare, officiare rituali, insegnare e dare ispirazione l’una all’altra”, secondo i testi che Shaw stessa tradusse sotto la guida dei suoi “venerabili maestri” in India e a Katmandu (Shaw, 83). Le yogini cantavano “canti per la realizzazione” alle loro feste tantriche, intrattenendosi l’un l’altra piacevolmente con “canti spontanei dotati di profonda visione (insight) spirituale” (Shaw, 89). Alcuni dei canti delle yogini riportati da Shaw “celebrano l’esilarante senso di libertà dalla prigione dell’ego” (Shaw, 93). Molte yogini erano insegnanti spirituali, che conferivano poteri e iniziazioni, e le rovine dei loro templi circolari all’aria aperta, nelle cui nicchie troneggiavano statue di donne danzanti dalla testa di animale, si ergono oggi a memento dei loro riti estatici e anticonformisti.

Nell’Ucraina occidentale si trovano delle statuette risalenti al Neolitico che, se uno non ne sapesse di più, potrebbero essere prese per le precorritrici delle yogini indiane o delle dakini tibetane descritte nel Ventesimo secolo. Una statuetta del tardo Cucuteni che indossa due cinture, una che scende giù dalla vita, e una cintura di perle sul fianco, sopra l’area pubica, assomiglia a una immagine contemporanea di Tara o della dakini tibetana Machig Lapdrom. Statuette femminili nude che indossano cinture a cordoncino sono state ritrovate nei siti preistorici in Russia e Ucraina, risalenti ad un periodo così antico quale il 30000 a.C., e mostrano che le donne indossavano costumi rituali proprio fin dall’inizio dell’era moderna (periodo di Cro-Magnon). Molte statuine che indossano cinture sui fianchi, alcune con dischi rotondi di pietra e altre con frange, sono venute alla luce negli scavi in Bosnia e in Yugoslavia (cultura Vinca, 5° millennio a.C.)

Una bellissima statuetta femminile egiziana dell’era pre-dinastica (forse nubiana), intagliata nel lapislazzuli, dai marcati tratti africani, presenta delle caratteristiche che prefigurano le rigide sculture femminili per cui le greche Isole Cicladi sono così ben conosciute. Gli abitanti delle Cicladi, che ci hanno lasciato centinaia di statuine femminili squisitamente intagliate nell’alabastro bianco, erano conosciuti specialmente per la loro ossidiana e lo zafferano, che sono entrambi collegati alle pratiche “yogiche” delle donne. L’ossidiana era utilizzata per ottenere gli specchi levigati che così spesso accompagnano le sepolture femminili, specialmente quelle delle “sacerdotesse” oracolari o delle “facilitatrici di culti” come le sciamane. Si racconta che anche le Amazzoni portavano degli specchi alla cintura, e la mummia di una donna rinvenuta nel Pazyryk, nelle catene dell’Altai in Russia (risalente al tempo di Erodoto), ha con sé uno specchio simile, riposto in una borsa di pelle di leopardo sepolta con lei.

Lo zafferano è una potente erba medicinale con “particolari effetti sull’apparato riproduttivo femminile,” inclusa l’eccitante proprietà di provocare “lunghe, caratteristiche sensazioni orgasmiche”.

Lo zafferano, la più sacra tra le erbe medicinali indiane, è “parte integrante di molte cerimonie indù e buddiste, visto che il segno (striscia) caratteristico sulla fronte è spesso preparato con lo zafferano” (Buhner, 219). Le donne delle Isole greche sono state splendidamente raffigurate negli affreschi dell’Età del bronzo, che le mostrano mentre raccolgono e lavorano lo zafferano dalla pianta del crocus, mentre offrono lo zafferano alla loro sacerdotessa o dea seduta sul trono in posizione centrale, e mentre si dipingono tatuaggi con questa sostanza ed indossano vesti tinte con lo stesso colore dorato dello zafferano, più tardi indossate dai monaci buddisti e dai sadhu indiani (uomini e donne santi)…

Gli archeologi greci hanno cominciato a descrivere i siti delle loro isole - come quelli a Creta e a Santorini - come dei “centri cerimoniali” piuttosto che come “città” o “palazzi reali”, come prima si credeva che fossero. Sempre più indizi ci portano a considerare questi siti come luoghi di devozione e pellegrinaggio - isole santuario - presieduti da sacerdotesse le cui importanti funzioni yogiche sono raffigurate nelle molte statuette di marmo, pietra e bronzo e nei raffinati affreschi murali che lì sono stati ritrovati. Furono costruite grandi piattaforme di pietra ai lati dei cimiteri (dove le donne venivano sepolte con un corredo funerario più ricco rispetto a quello degli uomini, e che includeva centinaia delle caratteristiche statuine di marmo) (Getz-Preziosi, 1987, 15). Questi “palcoscenici per la danza” usati per rituali e cerimonie fin dai tempi più antichi, diventano vivi nella nostra mente quando li associamo alla famosa Dea minoica dei serpenti, rinvenuta sotto il pavimento nella Stanza del Trono dell’antico “Palazzo” di Cnosso. In un caso particolarmente sensazionale, gli archeologi hanno portato alla luce ben 55 statue di terracotta a grandezza naturale, raffiguranti donne danzanti abbigliate alla foggia minoica, ritrovate in un grande tempio dell’Età del bronzo sull’isola di Kea (l’antica Keos) (Caskey,1986).

La sacerdotessa-yogini

Sebbene lo yoga, nel suo contesto più formale oggi, faccia parte della religione Indù dell’alta casta dei Bramini, è nei villaggi indiani del Kerala che la religione dell’antica Dea è ancora viva in una forma più indigena o primordiale, che annovera templi dei serpenti custoditi da sacerdotesse in carne e ossa. Uno studioso della religione indiana descrive una tale sacerdotessa dei serpenti dei nostri giorni: “Posseduta dalla dea, danzerà selvaggiamente, userà un linguaggio osceno, berrà bevande inebrianti, sputerà sugli spettatori, e spingerà le persone intorno con il suo didietro.

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Sembra dilettarsi particolarmente nel maltrattare coloro che appartengono alle caste elevate” (Kinsley, 1986, 207). Come le deliranti menadi greche che camminavano sui carboni ardenti, “camminare sul fuoco, reggere vasi ardenti sulla testa e oscillare sospese a ganci conficcati nelle carni sono pratiche comuni durante queste celebrazioni e sono associate con la trance e la possessione” (Kinsley, 206).

Nei primi anni Ottanta mi fu mostrato un video di Ammachi, la santa indiana che oggi ha un tale seguito negli Stati Uniti che migliaia di persone fanno la fila anche di notte per fare “darshan” e ricevere un suo abbraccio. Da lei emana una radiante compassione su tutti i devoti: Ammachi è ritenuta essere una manifestazione della Grande Dea sulla Terra - un Avatar vivente. Un video della sua vita quando era in India (prima del suo arrivo negli Stati Uniti) la mostra impegnata in una energica danza di Kali, mentre fa roteare in grandi cerchi sopra la testa un’enorme spada ricurva. Come le antiche yogini descritte da Miranda Shaw, Ammachi - alla tenera età di cinque anni - cominciò a comporre canti estatici sacri, che la resero famosa in tutto il Kerala.

I villaggi dell’India del Sud appartengono alle loro dee caratteristiche, che sono considerate le loro creatrici. Al centro di questi villaggi, la dea è spesso “associata con un ‘ombelico di pietra’ situato da qualche parte nel villaggio, proprio come ‘l’omphalos’ o ‘ombelico del mondo’” era il seggio oracolare della sacerdotessa-yogini durante lo stato di trance dal potere profetico (Kinsley, 198). La divinità più amata dagli antichi Dravidi, Manasa, era una Dea serpente che sedeva su un trono di loto e indossava una tiara con sette cobra. Buffie Johnson descrive la credenza indiana che la divinità serpente sia la forma primordiale della Dea stessa, e dice che il 98 per cento degli abitanti del Bengala adorano ancora la Dea madre (sotto forma di una figura in pietra o di un vaso) (Johnson, 173). Un canto del Bengali è dedicato “alla Regina dei Serpenti che presiede a tutto ciò che si muove” (Johnson, 168). E proprio come nei riti estatici delle menadi greche, il potere magico di Manasa si manifesta nel “suo rapporto complesso con il parto.” (Johnson, 174)

Belle Amazzoni, Yogini indiane e Dakini tibetane

Prove recenti suggeriscono con forza che ci sia una linea di collegamento diretta (forse addirittura di discendenza) tra le yogini del Mediterraneo dell’Età del bronzo e le yogini storiche documentate due migliaia di anni più tardi in India e in Tibet. Le mummie scoperte nelle sepolture delle montagne dell’Altai in Mongolia e nelle montagne del Tien Shan in Cina hanno cambiato la nostra visione sulle popolazioni dell’Età del bronzo e del ferro, mostrando che esse viaggiavano per migliaia di miglia nei loro spostamenti migratori e che condividevano contatti culturali che li mettevano in collegamento lungo tutto il percorso che dalla Turchia e dalla Grecia portava al Tibet, all’India, fino ai confini occidentali della Cina (Mair, 292). Templi e monasteri buddisti erano finanziati dai mercanti impegnati nei loro intensi traffici lungo la Via della seta che univa la Cina a Roma. Tombe di sacerdotesse con alti cappelli neri a forma di cono (come le “Baba” russe e le streghe europee del Medio Evo) sono state ritrovate nel bacino del Tarim, risalenti al tardo secondo millennio a.C., restituendo vita ai molti ed enigmatici riferimenti testuali alle “streghe dakini” e alle “regine yogini” nelle storie più tarde del Tibet pre-buddista, che solo recentemente sono state tradotte in inglese.

Il Tantra e il ruolo della sessualità femminile nello yoga.

In una recente traduzione della vita della yogini tibetana Yeshe Tsogyal, si afferma che la yogini e il suo giovane compagno (scelto per lei dal guru Padmasambhava) “si ritirarono in una grotta che nessuno aveva mai scoperto prima (ed ora è in effetti conosciuta come ‘la grotta segreta di Tsogyal’), e lì, per sette mesi, si dedicarono alla coltivazione delle quattro felicità”. Questa intensa pratica di Yoga tantrico, che comprendeva la sessualità come suo fondamento, le permise di coltivare potenti siddhi. “La Signora Tsogyal poteva attraversare ogni sorta di oggetti, e il suo corpo non fu più assoggettato all’invecchiamento, alla malattia e alla decadenza.”(59). Più tardi, ella si dedicò a diverse pratiche ascetiche solitarie al fine di sviluppare ulteriormente la sua consapevolezza spirituale attraverso la generazione di tummo (calore interiore o psichico), stabilizzando le doti ottenute con lo Yoga.

Le indaffarate donne di oggi possono essere delle yogini?

Quando noi donne di oggi pratichiamo lo Yoga indiano o buddista-tibetano, invochiamo le antiche forze archetipiche utilizzate dalle yogini, dalle dakini e dalle altre antiche praticanti lo Yoga e la meditazione. Quando canto, quando al mattino pratico lo “yoga mudra” ed entro in uno stato meditativo profondo per quindici minuti, sono trasportata in e da un qualche luogo dove donne antiche o tribali, forse delle yogini, mi hanno dato insegnamenti e istruzioni per più di vent’anni ad oggi.

Ma anche se le donne moderne non riescono a trovare il tempo per praticare la posizione del loto per quindici minuti al mattino, ci sono vie naturali, biologiche per accedere e sperimentare il potere yogico delle nostre sorelle antenate. Sempre più donne oggi stanno “in cerchio”, a giudicare dai programmi di spiritualità femminile e dai libri che vengono pubblicati sull’argomento. Proprio come le donne che oggi vivono assieme nei convitti studenteschi femminili o in altre situazioni di vita comunitaria, sincronizzano il loro ciclo mestruale e finiscono con l’avere le mestruazioni nello stesso periodo, allo stesso modo l’energia kundalini è contagiosa nei cerchi di donne. Nei tempi antichi le comunità sembravano trarre vantaggio da questo fatto e santificavano questo fenomeno, mettendo il ciclo del sangue femminile al centro della loro organizzazione sociale. Le origini dello Yoga giacciono in queste antiche organizzazioni sociali che ammettevano e incoraggiavano il flusso libero e spontaneo dell’energia kundalini attraverso il gruppo delle donne e, per estensione, attraverso l’intera comunità. Il momento del sanguinamento (nel flusso mestruale), del parto, la pratica della guarigione e il momento della morte erano sostenuti da rituali caratterizzati dalla trance, dalla danza, e da una forma istintuale di estasi facilitate dalle donne. In questo modo, la malattia veniva eliminata dalla comunità attraverso il rito, e la fertilità (delle donne, degli animali e delle messi) era potenziata e magicamente sostenuta dal semplice godimento dell’estasi biologica della vita sulla Terra. Davvero, quelli erano i tempi dello “yoga vivente”.

Eppure anche oggi noi donne possiamo contattare le potenti energie yogiche, restando fedeli ai nostri processi biologici piuttosto che consegnarli all’establishment medico come impone l’uso del momento. L’intervento medico spesso rende vani quei processi naturali che coinvolgerebbero lo spontaneo risveglio della kundalini. Il contatto diretto con le funzioni del parto, del sanguinamento, della menopausa e della guarigione naturale, tutto questo invoca forti energie vibrazionali ad entrare nei nostri corpi ed esercitare la loro secolare attività di estasi.

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Coloro che assistono ad un parto naturale in casa hanno l’opportunità di sperimentare la natura contagiosa della potente energia shakti-kundalini che si genera nel momento del parto.

Mentre assistevo il parto in casa di un’amica, negli anni Ottanta, verso la fine del travaglio, quando le contrazioni cominciarono a diventare dolorose, noi suonavamo e intonavamo canti con lei, incoraggiandola a emettere i suoni istintivi che l’avrebbero aiutata a fronteggiare la difficile fase finale del suo attivo dare alla luce. Le levatrici e coloro che lavorano con le discipline corporee sanno che aprire la gola catalizza l’apertura della vagina e dell’utero, e così canti e gemiti hanno uno scopo molto pratico, e allo stesso tempo sono davvero sacri. Mentre si avvicinava il momento finale del parto, l’energia vibrazionale, che era aumentata, fu avvertita da tutti i presenti, quando sperimentammo il tremolio e lo stordimento che spesso accompagnano una esperienza della kundalini. E la mia stessa levatrice in Arizona, dopo che ebbi partorito mio figlio, uscì di corsa dalla casa, si tolse gli abiti di dosso e si tuffò nelle acque gelide del vicino Oak Creek, per liberare le forti energie che - disse lei - erano sempre il risultato di un parto in casa ben riuscito.

Ma c’è spazio, oggi, per le esperienze spontanee di estasi nelle moderne pratiche dello Yoga? Proprio come l’evento del parto, in Occidente, si è trasferito dalle case agli ospedali, trasformando così la natura originale e istintuale di questa attività in qualcosa che deve essere monitorato, sterilizzato e tenuto sotto un certo qual decoroso controllo, così lo Yoga è fuoriuscito dai templi ed è entrato nelle palestre. Questa dislocazione di una antica pratica rituale che prima era segreta, sacra e spiritualmente carica, ha cambiato la natura di ciò che chiamiamo Yoga, che è insieme un sistema disciplinato di pratiche e tecniche fisiche che conducono alla guarigione e alla conoscenza del sé autentico, così come un incontro sperimentale ed esperienziale con l’Universo (il “divino”).

Come “scienza” in cui il corpo apre la strada all’illuminazione, alla libertà e alla comprensione compassionevole, lo Yoga è particolarmente rilevante per le donne, le quali, per tutto il corso della storia scritta, sono state equiparate alla vita del corpo. Anche se l’idea che ci sia qualcosa di essenziale riguardo allo “Yoga delle donne” potrebbe sembrare voler glorificare il femminile a spese del maschile, o capitolare all’ormai logora visione, risalente agli anni Cinquanta, della “biologia come destino”, in realtà essa non è né l’una né l’altra cosa. Se non comprendiamo il ruolo centrale delle donne nello sviluppo dello Yoga, così come esso è attualmente articolato e insegnato, allora lo Yoga stesso non potrà fornire sempre il necessario contenitore per una pratica ed un progresso veramente efficaci per le donne. Possiamo ritrovare e rinnovare il nostro potere femminile intrinseco ricordando e riconnettendoci con le antiche pratiche dello Yoga, centrate sul femminile, delle nostre antenate sparse in tutto il mondo

 

Bibliografia

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  • Robicsek, Francis. The Maya Book of the Dead: The Ceramic Codex (The Corpus of Codex Style Ceramics of the Late Classic Period). Charlottesville: University of Virginia Art Museum, 1981.

  • Shaw, Miranda. Passionate Enlightenment: Women in Tantric Buddhism. NJ: Princeton University Press, 1994 (tr. it. Illuminazione appassionata, Venexia Ed. 2010).

Presentazione del libro di Heide Gottner-Habendroth: Le società matriarcali del passato e la nascita del patriarcato

Sabato 13 aprile 2024 dalle 15:30 alle 18:30
Programma

Meditazione con le campane di cristallo

Sabato 20 aprile 2024 alle 17:30 e alle 20:30
Programma

Festa di fine anno

Venerdì 21 giugno 2024 

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